Importantissima sentenza della Corte di Cassazione

Per le dimissioni rapide dei pazienti si rischia l'accusa di omicidio colposo

Roma, 3 marzo 2011 

La Corte di Cassazione opera un giro di vite nei confronti dei medici stabilendo che possono essere chiamati a rispondere per omicidio colposo se dimettono sbrigativamente dall'ospedale pazienti a rischio che poi muoiono. 

La quarta sezione penale con la sentenza 8254 sottolinea che a un medico, per liberarsi da ogni responsabilità, non basta dire di essersi "attenuto scrupolosamente alle linee guida" previste per i professionisti.

In questo modo la Suprema Corte ha accolto il ricorso della Procura di Milano che si era opposta all'assoluzione "perchè il fatto non costituisce reato" di un medico dell'ospedale di Busto Arsizio chiamato a rispondere di omicidio colposo perchè, in qualità di medico dell'ospedale civile di Busto Arsizio , "agendo con negligenza, imprudenza e imperizia", aveva dimesso dall'ospedale il paziente, con esiti di recente infarto esteso del miocardio, a nove giorni di distanza dall'intervento di angioplastica all'arteria anteriore. Il paziente, ricostruisce ancora la sentenza,  a seguito di attacco cardiaco era deceduto poche ore dopo essere stato dimesso.

In primo grado il gup del Tribunale di Milano aveva condannato il medico a otto mesi di reclusione per omicidio colposo, pena sospesa con la condizionale, imponendogli pure una provvisionale di 50 mila euro in favore dei famigliari del paziente deceduto. 

Decisione ribaltata dalla Corte d'Appello di Milano che, il 16 novembre 2009, assolveva con formula piena il medico.

Una assoluzione contestata dalla Procura milanese in Cassazione che ha fatto notare che "se il paziente fosse stato ricoverato in ambiente ospedaliero nel momento dell'urgenza cardiologica si sarebbero potuti attuare con sollecitudine interventi o meglio terapie che forse avrebbero potuto salvare la vita" al paziente. 

La Cassazione ha accolto i rilievi della Procura e, disponendo un nuovo esame davanti alla Corte d'Appello di Milano, ha ammonito i medici sul fatto che "la valutazione di dimissibilità deve essere di ordine medico, non statistico".Il professionista, infatti, "nel praticare la professione medica deve con scienza e coscienza perseguire un unico fine: la cura del malato utilizzando i presidi diagnostici e terapeutici di cui dispone la scienza medica, senza farsi condizionare da esigenze di diversa natura, da disposizioni, considerazioni, valutazioni, direttive che non siano pertinenti rispetto ai compiti affidatigli dalla legge e alle conseguenti relative responsabilità".

Inoltre, annota ancora la Suprema Corte, "se le linee guida dovessero rispondere solo a logiche mercantili, il rispetto delle stesse a scapito dell'ammalato non potrebbe costituire per il medico una sorta di salvacondotto, capace di metterlo al riparo da qualsiasi responsabilità, penale e civile, o anche solo morale, poichè sul rispetto di quelle logiche non può non innestarsi un comportamento virtuoso del medico che, secondo scienza e coscienza, assuma le decisioni più opportune a tutela della salute del paziente".


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