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Eccesso di assistiti

 

 

Cassazione civile, Sezione Lavoro, 7 aprile 2001, n.5220

 


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Angelo             GRIECO               - Presidente -
Dott. Corrado            GUGLIELMUCCI         - Consigliere -
Dott. Paolo              STILE                - Rel. Consigliere -
Dott. Gabriella          COLETTI              - Consigliere -
Dott. Giovanni           AMOROSO              - Consigliere -
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
CELLI ANTONIO, elettivamente domiciliato in ROMA VIA GEROLAMO BELLONI
88,  presso  lo  studio  dell'avvocato PROSPERETTI  GIULIO, che  lo
rappresenta e difende unitamente all'avvocato CARLINI  PAOLA EMILIA,
giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
AZIENDA UNITÀ SANITARIA LOCALE DI RIETI, in persona  del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente  domiciliata in ROMA VIA
DELLA  GIULIANA  80,  presso   lo  studio   dell'Avvocato   SEGNA,
rappresentata  e difesa dall'avvocato  ROSSETTI  GIUSEPPE,   giusta
procura speciale atto notar ANTONINO RANDO di  RIETI,  del 17 marzo
1998, rep. N. 50260;
- controricorrente -
nonché contro
REGIONE LAZIO, in persona  del legale rappresentante pro  tempore,
elettivamente  domiciliata in ROMA VIA  MARCANTONIO COLONNA  27,
rappresentata e difesa dall'avvocato SALIS PAOLO,  giusta  delega  in
atti;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 65-97 del Tribunale di  RIETI,  depositata  il
20-02-97 R.G.N. 886-96;
udita la relazione della causa svolta nella  pubblica  udienza del
17-01-01 dal Consigliere Dott. Paolo STILE;
udito l'Avvocato PROSPERETTI;
udito l'Avvocato ROSSETTI;
udito il P.M. in persona del Sostituto  Procuratore Generale Dott.
Massimo FEDELI che ha concluso per l'assorbimento  del primo  motivo
del ricorso e rigetta gli altri motivi del ricorso.

 

Fatto

Con sentenza del 16 maggio 1996, il Pretore di Rieti rigettava la domanda proposta da Antonio Celli nei confronti dell'Azienda Unità Sanitaria Locale di Rieti e della Regione Lazio, volta ad ottenere un equo compenso per l'attività prestata, quale medico convenzionato, a beneficio degli assistiti eccedenti il massimale di cui all'art. 5 del d.m. 503-11987.
Avverso tale decisione proponeva appello il Celli, censurando con più motivi le statuizioni del Pretore, di cui chiedeva la riforma con l'accoglimento della domanda.
Resisteva l'Azienda USL Rieti, mentre la Regione Lazio, rimaneva contumace.
Con sentenza del 5-20 febbraio 1987, l'adito Tribunale d Rieti rigettava l'appello, osservando che uniche titolari dei rapporti in questione erano le USL - e quindi, in seguito alla legge istitutiva, le Aziende USL -, mentre doveva escludersi ogni responsabilità della Regione, in quanto quest'ultima aveva solo funzioni di controllo e coordinamento rispetto alle singole USL o interveniente come ente finanziatore, ma mai come titolare diretta del rapporto.
Aggiungeva che alcun compenso spettava al sanitario per l'attività prestata a favore degli assistiti in soprannumero, trattandosi di attività non autorizzata dalla Regione, come previsto dagli accordi collettivi emanati ai sensi dell'art. 48 della legge n. 833-1978, ed, inoltre, illegittima, avendo, la determinazione del massimale, valenza pubblicistica per essere destinata, da un lato, ad incentivare l'occupazione dei giovani medici, e dall'altro, a contenere la spesa pubblica.
Soggiungeva che, anche alla stregua dell'art. 2041 c.c., nulla spettava al sanitario mancando la prova dell'indebito arricchimento dell'Azienda e del depauperamento del medico conseguente al superiore numero degli assistiti.
Per la cassazione di tale sentenza ricorre il Celli con tre motivi, ulteriormente illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c..
Resistono l'Azienda USL Rieti e la Regione Lazio con controricorso.

 

Diritto

Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 100 c.p.c., nonché degli artt. 51, co. 5 e 6, legge 23 dicembre 1978 n. 833, 34 legge R.L. 8 settembre 1983 n. 58 e 1273, co. 3. C.c., deducendo che erroneamente il Tribunale di Rieti, nel confermare la pronuncia di primo grado, aveva ritenuto la carenza di legittimazione passiva della Regione Lazio rispetto alla domanda avanzata da esso ricorrente diretta a conseguire il giusto compenso per l'attività professionale prestata a beneficio degli assistiti in soprannumero.
Ad avviso del Giudice a quo, infatti, in base alla normativa sanitaria in materia, l'effettivo titolare del rapporto con i medici in regime di convenzionamento esterno era unicamente l'Azienda USL, mentre la Regione, oltre a svolgere mere funzioni di controllo e coordinamento delle singole USL, interveniva nel rapporto esclusivamente come ente finanziatore.
In particolare - prosegue il ricorrente -, del tutto arbitrariamente, perché senza riscontro normativo, la sentenza impugnata aveva ritenuto che, ai fini dell'affermazione della responsabilità della Regione, alcun rilievo assumeva la circostanza che fosse proprio la Regione Lazio a provvedere al pagamento dei compensi spettanti ai medici e a gestire la relativa contabilità, configurandosi, nella specie, una mera "sostituzione nel compimento di singoli atti", inidonea a modificare la titolarità del rapporto.
Nè, ad avviso del Tribunale di Rieti, era possibile configurare una responsabilità solidale della Regione scaturente da un "accollo esterno" dei debiti delle Aziende USL da parte dell'Ente, mancando un apposito accordo in tal senso tra la Regione e l'Azienda USL.
Il motivo è fondato alla luce del quadro normativo di riferimento.
Come è noto e come, del resto, è stato ribadito in più occasioni anche dalle sezioni unite di questa Corte (da ultimo, Cass. sez. un. 30 novembre 2000 n. 1237), il d.lgs 30 dicembre 1992 n. 502 (emanato sulla base della legge 23 ottobre 1992 n. 421, di delega per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego e di finanza territoriale) ha realizzato il riordinamento della disciplina in materia sanitaria, con la soppressione delle USL e l'istituzione delle Aziende unità sanitarie locali, aventi natura di "enti strumentali della Regione, dotati di personalità giuridica pubblica, di autonomia organizzativa, amministrativa, patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica" (art. 3).
La legge 23 dicembre 1994 n. 724, recante misura di razionalizzazione della finanza pubblica, all'art. 6, primo comma, ha, tuttavia, disposto che "in nessun caso è consentito alle regioni far gravare sulle aziende di cui al d.lgs. n. 502 del 1992 e successive modificazioni ed integrazioni, nè direttamente, nè indirettamente, i debiti e i crediti facenti capo alle gestioni pregresse delle unità sanitarie locali". "A tal fine" - conclude il comma in parola - "le regioni dispongono apposite gestioni a stralcio, individuando l'ufficio responsabile delle medesime".
La successiva legge 28 dicembre 1995, anch'essa recante misure di razionalizzazione della finanza pubblica, è intervenuta su tale regime giuridico, prevedendo all'art. 2, quattordicesimo comma, che "per l'accertamento della situazione debitoria delle unità sanitarie locali e delle aziende ospedaliere al 31 dicembre 1994, le regioni attribuiscono ai direttori generali delle istituite aziende unità sanitarie locali le funzioni di commissari liquidatori delle soppresse unità sanitarie locali comprese nell'ambito delle rispettive aziende. Le gestioni a stralcio di cui all'art. 6, primo comma legge n. 724 del 1994 sono trasformate in gestioni liquidatorie .... I commissari, entro il termine di tre mesi, provvedono all'accertamento della situazione debitoria e presentano le risultanze ai competenti organi regionali".
Da tale articolato complesso normativo, deve dunque trarsi la conclusione che, per effetto della soppressione delle Unità sanitarie locali e della conseguente istituzione delle Aziende unità sanitarie locali, si è realizzata una fattispecie di successione ex lege delle regioni in tutti i rapporti obbligatori facenti capo alle ormai estinte U.S.L.; poiché, però, tale successione delle regioni è caratterizzata da una procedura di liquidazione, che è affidata ad una apposita gestione stralcio - la quale è strutturalmente e finalisticamente diversa dall'ente subentrante (AUSL) ed individuata nell'ufficio responsabile della medesima unità sanitaria locale a cui si riferivano i debiti ed i crediti inerenti alla gestione pregresse -, deve ritenersi che detta gestione, rappresentata dal direttore generale della nuova azienda sanitaria nella veste di commissario liquidatore, usufruisce della soggettività dell'ente soppresso (che viene prolungata durante la fase liquidatoria).
Ne discende che la legittimazione relativa alle situazioni giuridiche riferibili alle soppresse U.S.L. spetta non già alla AUSL subentrante, ma alla gestione della U.S.L. soppressa ovvero alla regione (Cass. 30 novembre 2000 n. 1237; Cass. 26 febbraio 1999 n. 102).
Quest'ultima, inoltre, è da ritenersi legittimata passiva per i debiti delle USL anche sulla base della normativa regionale. Ed invero, per quanto riguarda, più specificamente, la Regione Lazio, la normativa di riferimento è costituita dall'art. 34 della L.R.
Lazio 8 settembre 1983 n. 58, la quale, nel dettare i criteri per la gestione della convenzione con i medici generici e pediatri, pone direttamente in capo alla Regione l'onere economico per l'assistenza medica, prevedendo espressamente che la Regione "provvede direttamente alla liquidazione e al pagamento delle somme dovute per l'assistenza medica generica e pediatrica ordinaria". Da ciò discende che la Regione risulta direttamente obbligata, in virtù dell'accollo normativamente disposto, all'erogazione di tutto quanto dovuto al sanitario dalle singole USL sulla base del rapporto di convenzione esterno.
In ordine alla legittimazione passiva dell'Azienda Unità Sanitaria Locale di Rieti, il cui difetto sembra da questa essere adombrato nel controricorso, deve affermarsene la sussistenza, trattandosi di questione ormai coperta da giudicato.
Ed invero, tale legittimazione, affermata in primo grado e confermata nel giudizio di appello, non ha mai costituito oggetto di impugnazione e, pertanto, non è più suscettibile di formare oggetto di esame.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 48 della legge 23 dicembre 1978 n. 835 nonché degli artt. 34 del d.P.R. 13 agosto 1981, 34 del d.P.R. 16 ottobre 1984, 41 del d.P.R. 8 giugno 1987 n. 289 ed infine 41 del d.P.R. 28 settembre 1990 n. 314, tutti decreti di approvazione dell'accordo nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale ai sensi dell'art. 48 legge n. 833-1978 (art. 360 n. 3 c.p.c.); denuncia, ancora, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 n. 5 c.p.c.).
Lamenta, in particolare, che il Tribunale abbia ritenuto che il sanitario non possa pretendere contrattualmente, in base alla convenzione conclusa con l'Amministrazione, la corresponsione degli onorari relativi agli assistiti mantenuti effettivamente in soprannumero, in quanto la normativa sanitaria (e segnatamente l'art. 48 legge n. 833-1978 e, successivamente tutti gli accordi collettivi stipulati ai sensi di tale norma) prevederebbe espressamente il divieto di erogazione di spese per gli assistiti eccedenti il massimale, consentendo eventuali deroghe al principio del contenimento del numero degli assistiti in carico a ciascun medico entro un massimale predeterminato (nella specie, 1.400 scelte), solo dietro autorizzazione della Regione "in relazione a particolari situazioni locali; preclusione questa che, dovendosi ritenere nota al sanitario, sarebbe stato dallo stesso accettata all'atto del perfezionamento dell'accordo.
Al contrario - prosegue il ricorrente -, la menzionata normativa e, segnatamente, l'art. 41 d.P.R. n. 314-1990, che disciplina il trattamento economico spettante al medico convenzionato, e ne determina le singole componenti (oltre all'elemento base, e cioè l'onorario professionale, ne sono indicate dodici) solo per alcune voci integrative (come quella concernente l'indennità di rischio ed avviamento professionale nonché il concorso nelle spese di produzione del reddito), espressamente esclude che il relativo importo sia dovuto "per gli assistibili oltre il massimale o la quota individuale", così riconoscendo implicitamente il diritto del sanitario alla corresponsione del compenso base dovuto per gli assistiti eccedenti il massimale.
Contraddittorio e, comunque, erroneo sarebbe, quindi, il ragionamento del Tribunale, secondo cui la norma in esame, specificando espressamente l'esclusione del pagamento di talune voci integrative per gli assistiti mantenuti in soprannumero, consentirebbe di ritenere implicitamente confermato il preteso principio generale di esclusione del compenso per gli assistiti eccedenti il massimale.
Pertanto, il ricorrente avrebbe diritto ad un compenso ridotto, privo delle voci inerenti al rimborso spese e del rischio professionale, nonché di quelle espressamente escluse, ma non alla perdita completa di esso.
Il motivo è infondato, non sussistendo la lamentata violazione delle norme regolamentari che regolano nella specie i rapporti tra medico convenzionato e USL.
Invero, il ragionamento del tribunale, trova il suo fondamento implicito nella "Norma transitoria n. 4" del d.P.R. 8 giugno 1987 n. 289 - attuativo dell'Accordo collettivo nazionale per la regolamentazione dei rapporti con i medici di medicina generale, ai sensi dell'art. 48 della legge 23 dicembre 1978 n. 833 -, il quale contiene un'articolata disciplina in ordine alle scelte eccedenti il massimale di assistiti, prescritto al fine trasparente di assicurare un'assistenza adeguata. Al riguardo, è previsto anzitutto, d'iniziativa del medico, la presentazione di un elenco nominativo di assistiti ricusati (e sul punto codesta Corte ha affermato che non rileva in contrario la mancanza di predeterminati criteri oggettivi di scelta degli assistiti da ricusare: cfr. Cass. 20 febbraio 1988 n. 1800). Nel caso in cui il medico non provveda in tal senso, è la U.S.L., presso la quale è costituito il rapporto, che provvede al rientro secondo indicati sistemi. Nel periodo intermedio - prosegue la norma - al medico verrà corrisposto un compenso mensile forfettario convenzionalmente determinato in misura pari al massimale. La stessa norma transitoria prevede espressamente che "al medico che non ottempera" all'obbligo di rientrare nei limiti del massimale alle scadenze prefissate "verrà corrisposto un compenso complessivo mensile forfettario..."pari al massimale" (*).
È quanto avvenuto nella specie e di ciò non può dolersi il ricorrente, che, anziché aver provveduto a ridurre il numero dei propri assistiti secondo i tempi e i modi prescritti, pretende, invece, un compenso che tenga conto delle eccedenze rispetto al massimale.
Per vero, il ricorrente, specie nella parte del ricorso concernente il "fatto", tende ad evidenziare come alcuna responsabilità sia a lui attribuibile per il superamento del massimale, premurandosi di fornire il numero degli allegati corrispondenti ai documenti che comproverebbero il proprio assunto. Senonché, pur nella prospettiva di un preteso vizio di motivazione della sentenza impugnata per l'asserita mancata valutazione di risultanze processuali, sarebbe stato necessario, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività della risultanza non valutata (o insufficientemente valutata), che venisse precisato - mediante integrale trascrizione della medesima nel ricorso - la circostanza che si assume decisiva e non valutata o insufficientemente valutata, dato che solo tale specificazione consente alla Corte di cassazione, alla quale è precluso l'esame degli atti in causa, di delibare la decisività della risultanza stessa (ex plurumis, Cass. 13 gennaio 1997 n. 265).
Nel caso in esame, pertanto, correttamente il Tribunale ha ritenuto che non spettasse al ricorrente il compenso per gli assistiti oltre il massimale; compenso che, al contrario, sarebbe spettato - ancorché con esclusione delle voci specificatamente indicate (concorso spese, ecc.) - ove l'eccedenza fosse stata autorizzata (art. 13 e 14 d.P.R. 28 settembre 1990 n. 314).
L'esposta disciplina, proprio perché diretta a stabilire il rapporto ottimale medico - paziente e, per ciò stesso, ad evitare ogni incentivo al perseguimento di un numero di pazienti superiore a quello ritenuto massimo, ancorché perfettibile, si sottrae ad ogni profilo di incostituzionalità, compreso quello prospettato dal ricorrente ed afferente la carenza di idonei criteri per la ricusazione dei pazienti eccedenti il massimale.
Invero - come questa Corte già ha avuto modo di precisare -, la legge 23 dicembre 1978 n. 833 (sull'istituzione del servizio sanitario nazionale), che (art. 1) tutela la salute come fondamentale diritto del cittadino, riconosce al medesimo (art. 25) un diritto di scelta del medico di fiducia che non è assoluto ed insuscettibile di limitazioni, atteso che l'art 19 della medesima legge sancisce l'esistenza di limiti oggettivi entro i quali tale scelta (come quella del luogo di cura) può avvenire e che il successivo art. 48, nel prevedere accordi collettivi (resi esecutivi con decreto del Presidente della Repubblica) finalizzati ad assicurare l'uniformità su tutto il territorio nazionale del trattamento economico e normativo del personale convenzionato, detta le direttive ed i principi ispiratori di tali accordi, stabilendo in particolare che essi debbano prevedere il numero massimo degli assistiti per ciascun medico e pediatra di libera scelta. Alla stregua delle citate disposizioni degli artt. 19 e 48 della legge - le quali non sono in contrasto con gli artt. 3 e 32 cost. - è legittima la disciplina dell'accordo collettivo nazionale per la regolamentazione dei rapporti con i medici di medicina generale, reso esecutivo con d.p.r. 13 agosto 1981, che stabilisce (art. 7) un numero massimo di scelte e prevede (con disposizione transitoria) l'obbligo del medico di rientrare entro tale limite attraverso ricusazioni volontarie, con esclusione della conservazione degli assistiti già acquisiti, non valendo la previsione di un numero massimo di assistiti solo per l'avvenire, nè rilevando in contrario la mancanza di predeterminati criteri oggettivi di scelta degli assistiti da ricusare (Cass. 20 febbraio 1988 n. 1800).
Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2041, 2729 e 1226 c.c. nonché del principio generale al compenso per la prestazione di lavoro comunque effettuata di cui all'art. 2126 c.c., ed, ancora, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.).
In particolare, il ricorrente lamenta che il Giudice a quo abbia escluso la sussistenza, nella specie, di un indebito arricchimento da parte dell'Amministrazione sanitaria ed il conseguente diritto del medico ad ottenere, anche in via equitativa, il risarcimento del danno correlativamente patito, così incorrendo in una palese violazione dei richiamati articoli del codice civile.
Anche questo motivo va disatteso.
Com'è noto, l'azione di ingiustificato arricchimento è ammissibile anche contro la pubblica amministrazione, purché quest'ultima riconosca l'utilità dell'opera o della prestazione eseguita in suo favore (Cass. 12 luglio 1996 n. 6332).
Nel caso in esame non vi è stato alcun riconoscimento da parte della USL, che, al contrario, proprio sulla base della esistenza del divieto al medico di assistere pazienti in numero superiore a quello consentito dalla norma regolamentare, gli ha disconosciuto il vantato diritto.
Va allora qui riaffermato un principio già altre volte espresso dalla Suprema Corte, secondo cui l'arricchimento senza causa non sussiste quando lo squilibrio economico a favore di una parte e in pregiudizio dell'altra sia giustificato dal consenso della parte che assume di essere stata danneggiata, in quanto la volontaria prestazione esclude l'arricchimento, quali che sia per ciascuno degli interessati le conseguenze patrimoniali economiche, vantaggiose o svantaggiose, della libera e concorde determinazione della loro volontà (ex plurimis, Cass. 21 novembre 1996 n. 10251).
Sotto altro aspetto, l'infondatezza del motivo va ricondotto alla mancanza di prova dell'indebito arricchimento - evidenziato dal Tribunale di Rieti -, non avendo, per un verso, il sanitario dimostrato di avere completamente ed effettivamente svolto l'attività professionale in favore di assistiti in misura superiore al massimale fissato, essendosi limitato ad una mera indicazione numerica, "includente morti, trasferiti e cessati"; e, per altro verso, fornito la prova del depauperamento, non essendo stata neanche dedotta la diversa e maggiore organizzazione dello studio conseguente al superiore numero degli assistiti.
Nè può ritenersi, nella specie, applicabile la disposizione di cui all'art. 2126 c.c., trattandosi di una norma eccezionale, riferibile ai soli prestatori di lavoro subordinato, non anche ai medici convenzionati, ancorché l'attività degli stessi sia riconducibile all'ipotesi del lavoro c.d. parasubordinato (Cass. 25 marzo 1995 n. 3496).
Per le suddette considerazioni, va accolto il primo motivo di ricorso ed in relazione a tale motivo l'impugnata sentenza va cassata. Ne consegue il rinvio della causa alla Corte d'appello di Roma, che dovrà esaminare il merito della controversia nei confronti della Regione Lazio, rispetto alla quale tale esame è mancato per effetto del ritenuto difetto di legittimazione passiva da parte del Giudice a quo; la stessa Corte provvederà anche a regolare le spese del giudizio di legittimità.
Il ricorso va, invece, integralmente rigettato nei confronti della Azienda USL Rieti.
Si ravvisano giusti motivi per compensare tra il ricorrente e l'Azienda USL Rieti le spese del presente giudizio.

 

P.Q.M

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso; cassa sul punto la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d'appello di Roma, dichiarando inammissibili il secondo ed il terzo motivo di ricorso proposti nei confronti della Regione Lazio. Rigetta il ricorso nei confronti dell'Azienda USL Rieti e compensa la (*) spese del giudizio di legittimità tra il ricorrente e quest'ultima.
Roma, 17 gennaio 2001.
(*) ndr: così nel testo.

Nota Redazionale

- In senso sostanzialmente conforme cfr. Cass. 27 gennaio 1998 n. 803, Foro it. 1998 , I, 2211.

Nota Redazionale

- Non si rinvengono precedenti in termini.

Nota Redazionale

- In senso conforme cfr. Cass. 20 febbraio 1988 n. 1800.

 

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