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Riscossione quote

 

 

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Archivio selezionato : Sentenze Civili

Documento n. 5 di 9
 

Cassazione civile, Sezione Lavoro, 30 agosto 1993, n. 9168

Diritto

I due ricorsi avverso la stessa sentenza vanno riuniti ai sensi dell'art. 335 c.p.c..
Col primo motivo del ricorso, denunciandosi violazione e falsa applicazione degli artt. 1321 e 1362 e segg. cod. civ. in relazione alla interpretazione dell'accordo collettivo nazionale 30-1-81, reso esecutivo con d.p.r. 13-8-1981 (art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.) si deduce nel ritenere legittimi gli addebiti e la trattenuta in questione 1) che il Tribunale avrebbe trascurato di considerare: che il ricorrente, medico generico convenzionato, aveva adempiuto a tutti gli obblighi derivantigli dalla convenzione (orario fissato per le visite, efficienza delle attrezzature ambulatoriali ecc.), garantendo unitariamente il servizio sanitario per gli assistibili a suo carico, iscritto negli "elenchi", indipendentemente dal numero degli assistiti in concreto; 2) che le variazioni degli elenchi divenivano efficienti soltanto dopo le prescritte comunicazioni da parte della U.S.L. competente.
Il motivo non è fondato.
È il caso di ribadire che le disposizioni che regolano il trattamento economico e normativo del personale sanitarie delle U.S.L., a rapporto convenzionale, ancorché gli accordi che le contengono, stipulati ai sensi dell'art. 48 l. n. 833-78, sono recepiti in decreti del Presidente della Repubblica, conservano la loro natura negoziale e privatistica, sicché la loro interpretazione, riservata ai giudici del merito, è soggetta ai criteri legali di ermeneutica contrattuale, tra i quali ha carattere prioritario quello letterale (art. 1362 e segg. cod. civ.) ed è censurabile in sede di legittimità per violazione dei criteri predetti, oltre che per vizi di motivazione (v. da ultimo cass. civ. 19-9-91 n. 9783).
Orbene, il Tribunale ha rilevato che, ai sensi dell'art. 19 dell'Acc. 18-8-1981 (come di quelli successivi), la corresponsione dei compensi al medico convenzionato cessava dal primo giorno del mese in corso o dal primo giorno del mese successivo a seconda che la revoca da parte dell'assistibile intervenga nella prima o nella seconda metà del mese e che l'assistibile (art. 17 Acc.) può revocare in ogni tempo la scelta del medico dandone comunicazione alla U.S.L. competente. Ha ritenuto pertanto che la revoca della scelta, quale atto discrezionale ricettizio dell'assistibile aveva effetto immediato una volta comunicato alla U.S.L. competente, che gestisce la posizione amministrativa del medico e determinava la cessazione del diritto del medico alla corresponsione dei compensi mensili, relativi all'assistibile, che aveva operato la revoca.
Così il Tribunale, interpretando letteralmente i suddetti patti, ha evidenziato che l'atto di revoca aveva un destinatario ben determinato e cioè soltanto l'U.S.L. competente e che una volta pervenuto all'U.S.L. l'atto, per palese volontà delle parti contrattuali, determinava i propri effetti giuridici, tra i quali la cessazione dei compensi ai sensi dell'art. 19 cit. acc. Tale interpretazione, aderente ai patti contrattuali, è palesemente ispirata al principio generale, secondo cui ogni attribuzione patrimoniale è tutelata dall'ordinamento giuridico soltanto quando giustificata in relazione alla funzione giuridico-economica del negozio, per cui in difetto di tale giustificazione chi si arricchisce è tenuto alla restituzione di quanto ha ricevuto (art. 2033 c.c.). E nella specie, la "revoca" ha determinato il venir meno dell'obbligo della prestazione da parte del medico cui essa si riferiva e la contemporanea scelta obbligatoria da parte dell'interessato in sostituzione del primo medico, di altro medico, al quale spettava soltanto immediatamente l'unico compenso per l'assistibile (art. 17 Acc. cit).
Su tale assetto contrattuale non influisce l'obbligo (art. 20 Acc. cit.) accessorio, che impone all'U.S.L. locale di comunicare mensilmente al medico le variazioni nominative ed il riepilogo numerico relativi alle scelte ed alle revoche avvenute durante il mese precedente, allegandovi le copie delle dichiarazioni di scelta e di revoca. Infatti tale disposizione non condiziona la cessazione del diritto al compenso del medico, cui si riferisce la revoca.
Essa, coma ha giustamente rilevato il Tribunale è diretta ad evitare pregiudizi al medico "revocato", che ignaro dalla revoca, non comunicatagli dalla U.S.L., continui a prestare in concreto la propria opera a che non era più suo assistibile, senza peraltro poterlo rimpiazzare nell'elenco" ed autorizza, perciò, ricorrendone le condizioni, un'azione per danni, che richiede la deduzione dell'avvenuta assistenza, prestata nonostante la revoca e la concreta impossibilita di rimpiazzare l'autore della revoca nell'elenco completo. E tale azione nella specie non risultava proposta.
Si deve, poi, osservare che, ai fini del diritto alle quote capitarie, è irrilevante l'assolvimento dell'obbligo contrattuale di mantenere le strutture ambulatoriali permanentemente efficienti ed a disposizione degli assistibili, in quanto esso costituisce la condizione per l'ammissione del medico (ed il mantenimento) al rapporto di convenzionamento e le spese relative costituiscono rischio professionale a carico del medico convenzionato.
Infine, quanto alla pretesa illegittimità del recupero da parte della U.S.L. delle quote capitarie non dovute, mediante trattenute mensili, si deve osservare che il Tribunale giustamente ha ritenuto che alla ripetizione dell'indebito non è di ostacolo nè la buona fede dell'accipiens, che influisce soltanto sul pagamento degli interessi nè, secondo una tendenza giurisprudenziale affermatasi nel campo dell'impiego pubblico, l'affermata utilizzazione delle somme indebitamente ricevuto per insopprimibili esigenze di vita circostanza non provata e da escludere per un medico.
Peraltro, si deve rilevare che nella specie trattasi di una compensazione impropria di poste di dare ed avere nell'ambito di un unico rapporto continuativo, diretta ad appianare gli squilibri tra i debiti ed i crediti delle parti.
Orbene, il motivato convincimento del Tribunale, basato sulla interpretazione dei patti contrattuali, sfugge alle critiche del ricorrente, il quale, senza una dimostrata violazione dei criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 e segg. c.c., insiste nel rilevare che il Tribunale avrebbe trascurato di considerare che vi era stato da parte sua l'adempimento dell'obbligo di tenersi pronto alle prestazioni professionali, con l'efficiente attrezzatura ambulatoriale anche nei confronti di coloro che avevano in tempi diversi e remoti operato la revoca della scelta non comunicata tempestivamente dalla U.S.L., ripetendo, in sostanza, genericamente le lamentele già, come si è visto, correttamente disattese dal tribunale.
Col secondo e terzo motivo si lamenta che il Tribunale: I disapplicato l'art. 7 L. 7-8-1982 n. 526, il quale fa obbligo alle U.S.L. di aggiornare gli elenchi dei cittadini utenti assistibili entro sessanta giorni dalla data di approvazione della legge ed inoltre impone alle Regioni di dettare norme per la ripetizione entro il 31-12-1982 delle somme indebitamente erogato dal 1-1-1980 ai medici convenzionati per le quote capitarie indebitamente percepite; 2) e violate il principio della irripetibilità delle somme ricevute in buona fede dal dipendente pubblico, affermato dalla Corte Cost.
(sent. n. 6-88).
Essi non sono fondati.
Invero, l'art. 7 cit. contemplava "la revisione degli elenchi degli assistibili dai medici di medicina generale e dai pediatri convenzionati, cancellando, altresì, i nominativi di coloro che anche temporaneamente fruiscono dell'assistenza erogata dallo Stato ai sensi dell'art. 6 punti "V" e "Z" della legge n. 833-78, dall'art. 2 d.p.r. 31-7-1981 n. 620", ipotesi assolutamente diverse da quella oggetto del presente giudizio che riguarda la variazione normale degli elenchi dei medici, relativamente alle scelte, revoche e ricusazioni, secondo le previsioni dell'art. 20 della Convenzione in questione.
Poi, è irrilevante, nella specie, la invocata sentenza della Corte Cost. n. 6-88, di rigetto dell'eccezione d'illegittimità dell'art. 6 n. 103-85, che dispone l'irripetibilità dei maggiori compensi corrisposti ai medici mutualistici soltanto a favore di quei medici che avevano casualmente riscossi i detti emolumenti. Invero, la sentenza, peraltro non vincolante, indica, tra gli altri argomenti, per giustificare sul piano della costituzionalità dell'intervento legislativo suddetto il principio dell'irrepetibilità delle somme riscosse in buona fede dall'interessato, applicato dalla giurisprudenza amministrativa, ma per i dipendenti pubblici, come rilevato anche dal Tribunale.
Il ricorso incidentale della U.S.L. n. 10, col quale si lamenta la illegittimità della compensazione delle spese processuali, di I e 2 grado, disposta dal Tribunale, non è fondato. Invero, è consolidata giurisprudenza di questa Corte (v. da ultimo sent. 21-1-1990 n. 320) che in tema di spese processuali, la valutazione dell'opportunità della compensazione totale o parziale delle stese sia nella ipotesi soccombenza reciproca sia in quella di altri giusti motivi, rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito e non richiede specifica motivazione con la conseguenza che detta valutazione dell'opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite non è censurabile in sede di legittimità a meno che giustificazione della compensazione siano stati addotti motivi erronei o illogici.
Nella specie, il Tribunale ha giustificato la compensazione delle spese rilevando la circostanza, vera coerente e logica, della ritardata richiesta da parte dell'U.S.L. n. 10 di restituzione delle quote capitarie pagate.
In conclusione, i due ricorsi devono rigettarsi e le spese di questo giudizio di cassazione compensarsi, stante la reciproca soccombenza.

 

 

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